Oggi conosciamo internet come la più grande infrastruttura di telecomunicazione esistente, utilizzata da miliardi di utenti che permette uno scambio di informazioni senza limiti.
Questo è stato possibile solo attraverso svariati anni di evoluzioni dell’infrastruttura, di discussioni scientifiche, sociali, politiche ed etiche.
Discussioni che spesso hanno portato la rete verso una sempre più evidenze “chiusura”, una chiusura di governance, dove pochi (e altre tante poche società o consorzi) decidono il percorso, e il destino dell’archivio di conoscenza più grande del mondo. Dove gli utenti sono disposti (in maniera consapevole o meno) a consegnare tutte le proprie informazioni personali per poter accedere qualche minuto ad applicazioni, siti, giochi e conoscenza; dove le poche società che guidano la governance le possono sfruttare per i propri fini speculativi e ottenere sempre più prestigio e potere.
Ma come si è arrivati ad un internet così chiuso e così sbilanciato in favole di multinazionali. Da dove è partita l’idea di internet e qual era la filosofia su cui la tecnologia è stata creata e sviluppata, quali sono stati gli step evolutivi e verso quale forma di rete si sta arrivando, o si vuole arrivare?
Durante ogni step evolutivo gli utenti hanno ricoperto un ruolo fondamentale nello sviluppo e nella crescita di internet e oggi più che mai possono decidere di riottenere ciò che è loro.
Possiamo identificare 3 step evolutivi notoriamente conosciuti come Web 1, Web 2 e Web 3. Personalmente inserire un ulteriore step, e lo vedremmo nel dettaglio e cercherò di spiegare anche la ragione della sua esistenza, il Web 2.5 (o falsa decentralizzazione).
È il 1963 l’ARPA sta studiando un sistema di interscambio di controllo e comando (per scopi militari) che possa consentire la condivisione delle informazioni con un linguaggio standardizzato, sei anni più tardi viene lanciato ARPANET, l’embrione di internet. Inizialmente composta da 4 soli nodi, con l’aggiunta successiva di altri nodi composti da università ed enti governativi. La tecnologia è quella attualmente utilizzata, un dato viene suddiviso in pacchetti più piccoli (più facili da gestire e da inviare) e riassemblati dal destinatario.
Nel 1972 viene mostrato pubblicamente ARPANET e nel ’74 viene stilato un paper dove si delinea gli aspetti di connettività e distribuzione aperta, senza amministrazione e controllo centralizzato.
Nel 1978 viene redatto il protocollo TCP/IP (attuale standard su cui si è sviluppato internet) per standardizzare la comunicazione e l’individuazione degli host che ne fanno parte. Nell’83 viene ideato il protocollo DNS (domain name service) che permette l’associazione di un nome di dominio con un host della rete.
Giungiamo al 1990 quando Tim Berners-Lee sviluppa il world wide web e http rendendo l’accesso alle informazioni e ai documenti più immediato per gli utenti.
Per un approfondimento sulla timeline di internet vi suggerisco https://thereboot.com/internet-evolution-a-timeline-history-of-the-network/
Il web 1 è conosciuto come il web dei lettori, dove pochi utenti creavano i contenuti e altri utenti ne consumavano. Un web statico dove poche società controllavano i contenuti e governavano eventuali censure.
Un internet rivolto ai suoi utenti, per condividere conoscenze ed esperienze, una rete non rivolta all’arricchimento di poche società.
Alla fine degli anni 90 le società che proponevano i propri servizi su internet esplosero causando una corsa alla capitalizzazione con conseguente “bolla speculativa”. In questo scenario migliaia di aziende fallirono, così come i relativi investitori, altre invece iniziarono il loro viaggio verso quello che conosciamo come web2, società come Amazon e Google.
La rete internet è cresciuta a dismisura, l’aumento delle capacità computazionali dei server, di nuove tecniche di gestione delle risorse, delle capacità degli sviluppatori ha reso possibile la creazione di siti interattivi e applicazione estremamente complesse completamente online.
In questo contesto si ha un’impennata del numero degli utenti e la conseguente esigenza di nuovi contenuti, gli utenti stessi diventano creatori/consumatori di contenuti in uno scambio molti a molti. Utilizzando piattaforme quali social network che permettono l’utilizzo delle loro funzionalità in maniera gratuita (almeno a prima vista). Le società che controllano i social network diventano proprietari di tutti i dati relativi agli utenti e ai loro contenuti, regolandone la diffusione, decidendo quali e quanti pubblicarne, se censurarli o meno, creando disinformazione, causando così una totale chiusura di internet (centralizzando la rete e i contenuti). I dati e i contenuti diventano un mezzo per monetizzare (spesso senza riconoscere nulla al creatore del contenuto) tracciando l’interazione degli unteti, e ancor di più permettendone la profilazione accurata dei consumatori.
Con i dati di profilazione è possibile per queste aziende generare incassi spaventosi rivendendoli e creando così un sistema di advertising aggressivo.
Ho voluto indicare questo “nuovo” step evolutivo che si inserisce perfettamente in quello che è l’attuale panorama del web 2.0 e quello che sarà il futuro del web 3.0.
Questo step nasce per delineare una più specifica fase e delle entità che si trovano ora sulla rete, tutte quelle applicazioni o sistemi che dichiarano di essere il Web 3.0 molto spesso non lo sono. Il Web 3.0 è la totale decentralizzazione delle applicazioni e delle infrastrutture, applicazioni costruite interamente su sistemi non centralizzati come le blockchain quindi sia logica applicativa, dati, frontend interamente distribuiti on-chain.
Attualmente le applicazioni (identificate come web 3.0) sfruttano la presenza di una blockchain solamente per l’autenticazione (tramite wallet), per scambi di crypto, transazioni per verifica di smart contract o piccole porzioni di codice. Tutta la logica applicativa, parte dei dati, il frontend e l’infrastruttura hardware (i nodi di consenso e di risposta ai client) è tutta gestita in maniera centralizzata da un’organizzazione che si affida a sistemi cloud quali AWS o Google Cloud, questo è dovuto ad un fisiologico cambio di paradigma di sviluppo che ci porterà nel tempo ad una reale rete governata da sistemi di tipo Web 3.0, ma finché ci sarà la necessità di centralizzare uno degli elementi che costituisce un’applicazione (che sia questo la parte software o hardware) non si potrà mai parlare di Web 3.0 o di DECENTRALIZZAZIONE.
Finalmente siamo arrivati al Web 3.0, come detto precedentemente, in questo contesto non andremo più a parlare di applicazioni gestite da un’organizzazione centralizzata che acquisiscono la proprietà di qualsiasi dato, ma di entità gestite da DAO che lavorano per far crescere l’ecosistema in maniera sostenibile, libera ed etica (si spera).
In questa fase l’utente è l’unico possessore dei suoi dati e ha la possibilità e la capacità di poter collegare il proprio profilo su più applicazioni differenti, senza doverne creare di nuovi ogni volta, rendendo l’accesso il più trasparente e immediato possibile.
Le caratteristiche fondamentali delle blockchain permettono alle applicazioni on-chain e ai suoi contenuti di essere immutabili, resistenti alla censura, senza fiducia e questo è sicuramente un punto di forza, ma anche un punto di debolezza (soprattutto per aspetti etici).
In questo scenario si inserisce quello che oggi conosciamo come “Metaverso”, che erroneamente viene inteso da molti come un “luogo” virtuale dove poter interagire attraverso un avatar.
Il Metaverso sarà ciò che andrà a costituire il substrato di Internet Web 3, infatti deve essere inteso come un protocollo o una standardizzazione di come le piattaforme, le infrastrutture e gli utenti devono svilupparsi e interagire tra loro, creando così uno spazio fluido dove il passaggio di informazioni viene fatto in totale trasparenza e in maniera multidirezionale, sicura e con l’utente unico detentore dei propri dati e delle proprie informazioni.
Quello che stiamo vivendo in questo momento è la totale predominanza di poche società che detengono “i diritti” di monetizzazione e gestione dei dati utenti di quasi la totalità di internet.
Grazie all’introduzioni di soluzioni blockchain e crittografiche l’utente si sta riappropriando dei propri dati e delle proprie informazioni, utilizzandole solamente per i ciò che lui veramente desidera.
Il percorso per arrivare un internet fluido, dove a “dominare” è solamente la conoscenza che possiamo acquisire o trasmettere è ancora molto lungo e sicuramente non esente da turbamenti e tentativi di “manomissioni”, ma è una fisiologica evoluzione della realtà che ci circonda.