Costruire Ethereum L1 come cuore del "computer mondiale"
April 9th, 2025

Riflessioni a margine del keynote di Vitalik Buterin (ETHAsia 2025, Hong Kong Web3 Carnival)

Ethereum continua il proprio impegno per diventare pienamente pronto ad accogliere l’adozione di massa da parte del grande pubblico. Durante l’evento ETHAsia 2025, svoltosi il 9 aprile nell’ambito del “Web3 Carnival” a Hong Kong, il fondatore di Ethereum, Vitalik Buterin, ha tenuto un intervento dal titolo "Il futuro di Ethereum L1".

Il discorso ha toccato temi fondamentali quali il miglioramento della scalabilità, la pianificazione futura e gli aggiornamenti tecnologici, la sinergia tra i livelli L1 e L2, e l’impatto dell’astrazione degli account sull’esperienza utente.

Vitalik ha parlato. Io ho preso appunti (tanti), e ho aggiunto una riflessione per ogni punto chiave. Quello che segue è il riassunto + commento ragionato del suo intervento all’ETHAsia 2025. Ethereum, blob e colpi di scena inclusi.


Stato attuale della rete

“Buterin ha esordito analizzando la situazione attuale di Ethereum: il livello base (L1) è in grado di gestire circa 15 transazioni al secondo (TPS). Recentemente, il limite del gas è stato portato a 36 milioni, segnando un incremento di circa sei volte rispetto a dieci anni fa. Parallelamente, le soluzioni di secondo livello (L2) hanno raggiunto una capacità di circa 250 TPS, segnando progressi significativi sul fronte della scalabilità.”

|| Guardando ai numeri di Ethereum oggi—15 TPS su L1, 250 su L2—viene quasi da commuoversi. Dieci anni fa bastava un CryptoKitties spike per far collassare tutto, e oggi parliamo di throughput con la stessa naturalezza con cui si ordina un caffè doppio da uno smart contract.

Il gas limit è passato da 6 a 36 milioni, e sì, c’è chi ha festeggiato come se avessimo trovato una soluzione ai problemi del Layer 1… ma chi lavora sotto al cofano sa bene che la vera sfida è un’altra: fare tutto questo senza sacrificare decentralizzazione e sicurezza. Tradotto per i non addetti: è come voler far girare un server Minecraft a 120 fps... su un Raspberry Pi... con tre nodi attivi... mentre sincronizzi l'intera blockchain in background. Spoiler: non è facile.

Eppure, nonostante la complessità, Ethereum ha tenuto la barra dritta. Non si è piegato alla tentazione del "performance-first", come altri layer che promettono milioni di TPS ma poi crollano al primo airdrop. Ha scelto la via difficile: crescere senza perdere l’anima. E questo, per una tecnologia nata in un forum di cypherpunk e cresciuta tra meme, bug bounty e fork epici, è quasi miracoloso.

Nonostante tutta questa fatica, la vera sfida non è tecnica. È culturale.

Perché possiamo portare Ethereum a 10.000 TPS, possiamo avere zkEVM, danksharding e L2 su L2... ma se nessuno li capisce, li usa o li custodisce correttamente, allora abbiamo solo costruito una superstrada nel mezzo del deserto. Bellissima, certo. Ma vuota.

Quindi sì, bravo Ethereum per i progressi, per i TPS, per la resilienza. Però ora, la vera domanda da farsi è: Quando inizieremo a progettare l’esperienza utente con la stessa ossessione con cui ottimizziamo i calldata?


Upgrade futuri: Pectra e Fusaka

“Tra le prossime tappe, l’aggiornamento Pectra si propone di raddoppiare la capacità dei blob (contenitori di dati), passando da 3 a 6. Attualmente, 3 blob equivalgono a circa 375 KB, generati ogni 12 secondi: ciò si traduce in una velocità effettiva di 250 TPS. Con 6 blob, si prevede di arrivare a 500 TPS. Tuttavia, tale espansione è strettamente legata all’aggiornamento Fusaka, previsto per il terzo o quarto trimestre del 2025. In uno scenario ideale, Fusaka potrebbe portare la capacità dei blob fino a 48 unità e, con l’implementazione definitiva della Data Availability Sampling (DAS), la capacità potrebbe toccare quota 512, aprendo la strada a decine di migliaia di TPS su L2.”

|| Ok, raddoppiare i blob. Suona bene, no? Un po’ come dire “raddoppiamo il budget per la pizza al team di sviluppo”. Ma chi mastica Ethereum sa bene che dietro ogni raddoppio di throughput c’è un triplo salto carpiato tra specifiche tecniche, implementazioni client, e discussioni su GitHub degne di un simposio greco.

Il prossimo aggiornamento Pectra ci porta da 3 a 6 blob. In termini umani, è come passare da una chiavetta USB da 512 MB a una da 1 GB. Sì, tecnicamente raddoppi, ma ti rendi conto che comunque non ci sta neanche un backup di Chrome. Eppure, quei 500 TPS potenziali non sono fuffa: sono la base per un Ethereum che può finalmente ospitare l’adozione di massa senza implodere ogni 12 secondi.

Ma la vera star di questa stagione sarà Fusaka, previsto per fine anno. Se tutto va bene (ovvero: se ogni client, rollup e nodo lo implementa senza bruciare metà del DevOps), si potrebbe arrivare a 48 blob. E con DAS (Data Availability Sampling) pienamente operativo, parliamo di 512 blob. A quel punto, Ethereum non sarà più semplicemente "scalabile". Sarà turbocharged. Parliamo di decine di migliaia di TPS su L2. Sì, proprio quelli che ci promettono in ogni whitepaper di ogni chain che inizia con “ZK”.

Il bello è che queste migliorie non sono “magia nera” o buzzword da conferenza: sono architetture solide, modulari, iterate e testate. Non ci si sta accontentando di patchare, si sta riscrivendo l’infrastruttura per resistere ai prossimi dieci anni.

**Tutta questa potenza non serve a nulla se non sappiamo cosa farci.**Perché sì, possiamo gestire 50.000 transazioni al secondo… ma se la metà sono solo mint di meme token o tentativi di frontrunning, forse non stiamo costruendo il futuro.

Stiamo solo accelerando il passato.

Quindi la vera domanda non è “quanti blob possiamo caricare”, ma: Cosa vogliamo davvero costruire con questa nuova capacità?


Astratti ma concreti: l’evoluzione degli account

“Un'altra pietra miliare è rappresentata dall’EIP-7702, primo passo sostanziale verso l’astrazione degli account, che renderà gli account più intelligenti, flessibili e sicuri.

«Questo punto segna una vera svolta: non solo maggiore sicurezza per gli utenti, ma anche nuove modalità d'interazione con l'infrastruttura Ethereum.»”

|| Account abstraction. Due parole che, lette fuori contesto, suonano come una feature nascosta in un gestionale del 2005. In realtà, per chi vive dentro l’ecosistema Ethereum, è più simile al Santo Graal: la promessa di una UX finalmente degna del 21° secolo.

Con EIP-7702 in arrivo, stiamo assistendo al primo passo serio verso un mondo dove gli account non sono più solo indirizzi passivi con due chiavi e un saldo, ma entità intelligenti, programmabili, reattive. In pratica: account che fanno cose, non solo holdano roba.

Immaginate un wallet che può gestire la sicurezza da solo, riprendersi da un errore, delegare il gas, o farvi login senza dover copiare 24 parole su un foglio con l’ansia di stare commettendo un peccato capitale. Sì, è ancora Ethereum, ma finalmente sembra qualcosa che potresti spiegare a tua madre senza sentirti un tecnico del CERN in missione educativa.

E poi ci sono loro, i Paymaster. L’idea che qualcun altro possa pagare il gas per te – o che tu possa farlo con un token qualsiasi – è così rivoluzionaria che probabilmente farebbe tremare i custodi dell’ortodossia del "tutto si paga in ETH". Ma hey, se vogliamo accessibilità, serve anche flessibilità.

Ciliegina sulla torta? Social Recovery, Guardian, wallet smart contract nativi. Tutte tecnologie che, se implementate bene, possono finalmente liberare l’utente dall’equazione “più sicurezza = meno usabilità”. E questo, signore e signori, è un cambiamento di paradigma.

Il futuro dell’autocustodia non sarà individuale, ma collettivo. Perché mentre Ethereum ci dà strumenti per gestire meglio i nostri account, ci sta anche insegnando che la vera sicurezza non è nel codice… ma nella comunità. Guardian, Social Recovery, deleghe intelligenti: tutto ruota intorno a una verità semplice ma potente—non siamo fatti per essere soli nemmeno on-chain.

Quindi la domanda da portarci a casa è: Come possiamo progettare wallet e identità digitali che non solo siano sicuri… ma anche umani?


L’importanza strategica del Layer 1

Nonostante la crescita rapida del Layer 2, il Layer 1 manterrà un ruolo cruciale. In caso di malfunzionamenti su L2, sarà proprio L1 a garantire supporto, uscita dei fondi e resilienza. Inoltre, è essenziale rafforzare L1 per garantire resistenza alla censura e trasferimenti cross-layer.

Tra i benefici dell'espansione del Layer 1:

  • Le tecnologie di scalabilità sviluppate per L2 potranno essere adattate anche a L1.

  • L1 potrà ispirarsi all’asimmetria tra produzione e validazione già sfruttata da L2.

In questo scenario, L2 continuerà ad assumere responsabilità quali:

  1. Iper-scalabilità, ben oltre i limiti dell’archiviazione dati nativa;

  2. Sequencing avanzato, con minore latenza e protezione dal MEV (Miner Extractable Value);

  3. Sperimentazione con nuove virtual machine (VM).

|| Chiariamo subito una cosa: L1 non è geloso di L2. O almeno… così dice. Ma ogni tanto lo vedi Ethereum L1 lì, silenzioso, a guardare questi L2 rampanti che pompano 10.000 TPS, raccolgono miliardi e fanno gli splendidi con i prover zk. E un po’ gli gira.

Eppure, non c’è rivalità vera, solo un nuovo equilibrio da trovare. L2 corre, sperimenta, sbaglia, riparte. L1 osserva, assorbe, consolida. Uno è il laboratorio, l’altro è l’infrastruttura. Un po’ come la differenza tra uno startup founder in felpa e un ingegnere civile con casco e pianta in mano: uno sogna, l’altro costruisce i ponti veri.

Il punto è che Ethereum L1 non può e non deve diventare solo il “referee” della rete. Deve restare reattivo, affidabile, pronto a intervenire quando un rollup va in tilt o quando un bridge decide di prendersi una vacanza a tempo indeterminato. Serve per le emergenze, per la sicurezza, per la fiducia di base. In gergo: è il last line of defense.

E non solo: molte delle tecnologie che oggi potenziano gli L2 — compressione dati, validazione asincrona, sequenziamento intelligente — potranno essere riportate su L1. In pratica, L1 può diventare più smart copiando i suoi figli. Un classico, no?

Nel frattempo, i L2 possono fare ciò che Ethereum non può permettersi: osare. Nuove VM, protezione MEV nativa, latenza sotto i 100ms, interoperabilità estrema. Sono il campo di prova dove si bruciano le sopracciglia così che il core layer non debba farlo.

Il futuro non sarà una scelta tra L1 o L2. Sarà una coreografia tra entrambi. Un Ethereum in cui il livello base è solido come il cemento armato, ma flessibile come una DSL per dApp. E dove i L2 danzano sopra, liberi di sperimentare, sapendo che sotto c’è una rete che li tiene, che li capisce… e che, se serve, li riprende per le orecchie.

Quindi il punto non è “chi vincerà tra L1 e L2”, ma: Come possiamo costruire un Ethereum dove ogni layer gioca il suo ruolo… senza dover rubare la scena all’altro?


Obiettivi a breve termine: roadmap al 2026

Per il 2026, si prevede l’introduzione di una serie di proposte di aggiornamento, mirate a incrementare il limite del gas in modo sicuro e decentralizzato. Tra queste:

  • Block-level access lists (elaborazione parallela I/O);

  • Delayed execution (esecuzione differita);

  • Gas multidimensionale per calldata;

  • Rivalutazione dei costi di gas;

  • EIP-4444, che permetterà l’eliminazione della cronologia completa dai nodi, affidando l’archiviazione a una rete distribuita peer-to-peer;

  • Iniziativa FOCIL.

|| Quando Vitalik dice “ci sono una serie di proposte in arrivo per il 2026”, l’aria è quella di chi ha appena tirato fuori una lista della spesa… lunga quanto la documentazione dell’Ethereum Yellow Paper. Block-level access lists, delayed execution, multidimensional calldata gas… e a quel punto, il dev medio si fa il segno della croce con la chiave privata.

Ma guardiamola da vicino: questa non è una roadmap qualsiasi. È un tentativo chirurgico di aumentare la capacità della rete senza dover sacrificare la decentralizzazione sull’altare della performance. Aumentare il gas limit? Sì, ma con grazia. Ridurre lo storage? Solo se non mandiamo in pensione i full node con tre righe di codice.

E qui entra in scena EIP-4444, la rockstar del momento. L’idea è semplice (in teoria): non serve che ogni nodo si porti dietro tutta la storia di Ethereum dal 2015. Basta un sistema distribuito, magari incentivato, che tenga i vecchi dati al fresco. In pratica: stiamo cercando di far fare a Ethereum quello che noi comuni mortali facciamo da anni con Google Drive – ma senza fidarci di Google.

La bellezza di questa fase sta nel bilanciamento costante tra innovazione e conservazione. Non si butta via niente: si rifattorizza, si sharda, si riduce la slot time come se fosse una dieta pre-estate. Ma sempre con l’occhio alla decentralizzazione, perché Ethereum è uno dei pochi posti dove “troppi cuochi” non rovinano la zuppa… anzi, la proteggono.

Forse il vero upgrade non è quello della rete, ma della nostra ambizione.

Perché se oggi siamo qui a parlare di execution parallela e calldata multidimensionale, vuol dire che Ethereum non vuole solo funzionare meglio. Vuole essere pronto per tutto ciò che ancora non sappiamo immaginare.

Quindi la domanda è: Siamo pronti a costruire un protocollo che non sia solo più veloce, ma più “future-proof” del futuro stesso?


Astrarre l’identità e rafforzare l’autonomia

Vitalik ha evidenziato come l’astrazione degli account possa:

  • Aumentare la sicurezza e la fruibilità per gli utenti;

  • Offrire protezione contro attacchi quantistici;

  • Abilitare soluzioni come Paymaster, per pagare il gas in token alternativi all’ETH o tramite terzi;

  • Supportare nativamente i wallet smart contract.

Attraverso tecnologie come Social Recovery e Guardians, Ethereum punta anche a offrire una gestione più sicura dell’identità e degli asset, in modo completamente decentralizzato.

|| Chi non ha mai avuto un mini infarto leggendo wrong password su Metamask alzi la mano. Ok, ora immaginate se quello fosse stato l’unico accesso a un wallet con sei cifre dentro. Benvenuti nel mondo pre-Social Recovery: un Far West in cui perdere una seed phrase è come buttare via le chiavi di casa... e pure la casa.

Ma ora Ethereum cambia registro. Con Social Recovery e Guardians, si comincia a parlare di wallet che si fidano delle persone, non solo delle password. In pratica: se perdi l’accesso, non ti servono più superpoteri crittografici o un backup nascosto nel cassetto delle calze — basta una rete fidata, persone o entità che hai scelto, pronte a rimetterti in carreggiata.

È un cambio di paradigma potente: da “custodisci tutto da solo o muori” a “costruisci una rete di fiducia attorno al tuo wallet”.

E no, non è il ritorno alla custodia centralizzata, è un'evoluzione: la fiducia distribuita, non delegata. Il codice resta sovrano, ma diventa più umano.

Certo, per i puristi questo sa un po’ di eresia. “Ma come?! Il punto era l’indipendenza assoluta!” Vero. Ma è anche vero che l’indipendenza assoluta ha fatto perdere milioni in ETH, NFT e dignità digitale. Forse, essere umani non è poi così male.

La vera rivoluzione dell’identità decentralizzata non è tecnica. È relazionale. Perché possiamo costruire i wallet più smart del mondo, ma se nessuno si fida di nessuno, restano solo gusci vuoti. La blockchain ci ha dato strumenti per liberarci dai middleman. Ma ora dobbiamo imparare a fidarci degli altri… senza dover rinunciare al controllo.

Quindi la vera domanda non è “quanto è sicuro il mio wallet”, ma: Quanto è solida la rete di relazioni su cui costruisco la mia identità digitale?


Altri ambiti di ricerca

Ethereum sta attivamente esplorando:

  • Funzionalità di privacy su L1;

  • Aggiornamenti all’EVM (Ethereum Virtual Machine);

  • Ottimizzazione e semplificazione del protocollo;

  • Miglioramento della resistenza quantistica del livello di consenso;

  • Riduzione del tempo di slot per maggiore efficienza.


Conclusione

Per realizzare la visione di Ethereum come nucleo del “computer mondiale”, sarà necessario:

  • Potenziare simultaneamente L1 e L2;

  • Esplorare approcci innovativi, inclusi quelli basati sull’intelligenza artificiale;

  • Consolidare il livello applicativo.

Dietro ogni grande protocollo, c’è un refactoring che nessuno vede. E Ethereum lo sa bene. Mentre tutti parlano di TPS, gas fee e meme coin, c’è una squadra di devs che da anni combatte nell’ombra contro entità mostruose come “consensus bloat”, “opcode legacy” e il famigerato “EVM che fa cose strane nel 2016”.

Ecco quindi la fase silenziosa ma cruciale del percorso: aggiornare senza rompere, pulire senza riscrivere da zero, ottimizzare senza alienare la base utenti. Un po’ come rifare l’impianto elettrico di una casa... senza dire a nessuno che hai staccato la corrente per tre giorni.

Parliamo di privacy su L1, con soluzioni che puntano a restituire un po’ di opacità dove ormai regna la trasparenza radicale. Perché sì, va bene l’on-chain, ma magari non voglio che il mio barbiere veda il mio saldo in tempo reale.

Poi c’è l’EVM upgrade, con l’eterna domanda: compatibilità retroattiva o salto quantico? Intanto si prepara il terreno per nuove VM, magari più performanti, ma anche per rendere l’Ethereum attuale un po’ meno… ehm, artigianale.

E ovviamente, la resistenza quantistica. Che sembra una feature uscita da un romanzo cyberpunk, ma è sempre più reale. Prepararsi ora significa evitare che un giorno un laptop quantico cinese scompagini metà del mondo DeFi mentre noi siamo a pranzo.

E il protocol cleanup? Una missione spirituale. Liberarsi di ciò che non serve più. Sembrava impossibile… e invece ce la stanno facendo. Più che un hard fork, una seduta di decluttering à la Marie Kondo.

E infine, la riduzione dello slot time: più frequenza, più reattività, meno latenza. In gergo tecnico: Ethereum che smette di rispondere come un modem del ‘98.

Non è lo scaling la vera impresa. È la manutenzione. Perché fare il nuovo è facile. Ma rendere il vecchio degno di restare, quello è arte. Ethereum non sta solo costruendo il futuro. Sta curando il presente, pixel per pixel, opcode per opcode. E lo fa sapendo che l’eleganza non si misura in linee di codice, ma in quanto bene quel codice sopravvive al tempo.

Quindi, l’ultima domanda da lasciarci:

Siamo pronti a riconoscere che la vera innovazione… è far funzionare bene ciò che c’è già?

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