Ancora sul Compbook

Da qualche tempo a questa parte, per massimizzare i miei output creativi, sto portando con me uno ZAP BOOK 1/2 interamente realizzato in carta riciclata. Un supporto che letteralmente adoro. Sembra un libro, è colorato, profuma di “indie culture” e ha una carta fantasticamente versatile per la scrittura con qualsiasi penna.

Devo iniziare a scrivere al bar. Sul serio, devo obbligarmi a farlo. La scrittura da scrivania è compromessa dalle troppe cose da fare. Un vero peccato, perché trovo delizioso riempire questo quaderno di adesivi giapponesi vintage, come una sorta di scrapbook a mezza via tra il diario e il giornale. (Quei giornali che si vedevano negli anime nipponici di fine anni Settanta, grigi e piovosi. Qualcuno dei miei lettori se li ricorderà.)

Non c’è continente più intrinsecamente ostile alla creatività dell’Europa contemporanea. Qui da noi tutto il dinamismo statunitense si è tradotto in presunta efficienza, e mai in arte, innovazione e sviluppo personale tramite l’esercizio creativo. Basti notare quante poche siano le traduzioni di un’autrice come Natalie Goldberg, qui nota solo per il solo Scrivere Zen del 1986. Un problema di paesaggio, di contesto, di scenario? Forse tutte queste cose insieme.

Sento veramente il bisogno di una tiny house. Una di quelle che qui da noi, guarda un po’, sono illegali. Mi sa che mi trasferisco in Alaska. O in Svizzera. Col mio composition book.

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